Considerazioni e iniziative in merito alla sentenza C.C. sulla RIA
Interessa i pensionati che hanno maturato i 5 – 10 – 20 anni di servizio nel periodo 1991-1993
Ci pervengono, oramai quasi giornalmente, da parte di tante pensionate e tanti pensionati già in servizio presso le PP.AA. centrali, richieste di chiarimento e di indicazioni sul “che fare” in merito ad una recente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 4/2024 depositata l’ 11 gen. u.s., che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 3.12.2000, n. 388” (legge finanziaria 2001), che aveva stabilito che la proroga al 31.12.1993 della disciplina del rapporto di lavoro relativo al triennio 1988-1990 del personale dei Ministeri e altre categorie non modificava la data del 31.12.1990 ai fini della maturazione delle anzianità di servizio prescritte (5, 10 e 20 anni) per il riconoscimento della RIA (Retribuzione Individuale di Anzianità).
Come si ricorderà, il DPR 17.01.1990, n. 44 recava l’ultima disciplina pubblicistica del rapporto di lavoro dei dipendenti Ministeriali prima della sua contrattualizzazione (D. Lgs 93/1992) e, all’art. 9 commi 4 e 5, stabiliva le misure lorde della RIA destinate al personale con 5 anni di effettivo servizio e le relative maggiorazioni di 10 (misura doppia) e 20 anni di servizio (misura quadrupla) se maturate nel triennio 1991-1993.
La crisi economica che l’Italia visse nei primi anni novanta (inflazione oltre il 20%!) fu allora alla base della dichiarata scelta del legislatore di prorogare al 31.12.1993 la disciplina fissata dal DPR 44/1990 che, pertanto, per logica, avrebbe dovuto comportare automaticamente anche la proroga della disciplina in materia di RIA, e dunque il riconoscimento di questo istituto in caso di 5-10-20 anni servizio maturati nel triennio 1991-1993.
Così però non avvenne, e il diniego delle Amministrazioni di riconoscere l’indennità anche nel triennio 1991-1993 fece da innesco a moltissime iniziative ricorsuali presso gli Organi della Giustizia amministrativa (molti dei quali però, val la pena di ricordare, nel corso degli anni a venire furono dichiarati estinti per perenzione).
Fu così che, per fronteggiare quell’imponente ondata di ricorsi e per evitare il rischio molto serio per la PA di soccombere in giudizio con le immaginabili ricadute finanziarie, il Parlamento negò la proroga fino a tutto il 1993 della disciplina ex art. 9 DPR 44/1990, che però oggi la Corte Costituzionale, pronunciandosi su richiesta del Consiglio di Stato in merito ai ricorsi promossi da oltre 600 lavoratori della Difesa, ha dichiarato illegittima.
Ovviamente, il pronunciamento della Corte Costituzionale (C.C.) ha avuto larghissima eco in tutto il Paese e ha generato comprensibili attese nei lavoratori ed ex lavoratori pubblici interessati, facendo da innesco a diverse iniziative sindacali, gran parte delle quali sono apparse però poco realistiche e alquanto demagogiche.
Dobbiamo allora chiederci in primis: chi è realisticamente interessato alla sentenza n. 4/2024 della C.C.?
Ebbene, sulla base degli approfondimenti operati da uno studio legale di fiducia e intrecciando la sentenza della C.C. con la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili n. 36197/2023 sulla decorrenza della prescrizione nel pubblico impiego, possiamo fissare alcuni punti e affermare conseguentemente con una qualche ragionevole certezza:
- La sentenza della C.C., pur avendo efficacia erga omnes, non produce i suoi effetti favorevoli per il passato, atteso che la norma dichiarata illegittima non è stata né annullata né abrogata. Dunque, non influisce sui rapporti ormai esauriti, ossia sorti precedentemente alla pronuncia della C.C., e che risultino ormai chiusi e consolidati in forza di sentenze di rigetto passate in giudicato o della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili o, ancora, del decorso dei termini di prescrizione (quinquennale) dei crediti retributivi, che nel pubblico impiego contrattualizzato decorrono sempre dal momento di loro progressiva insorgenza (sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili n. 36197/2023).
E non produce effetti anche nei confronti di quanti che, pur avendo maturato il diritto nel periodo 1991-1993 in forza della sentenza della C.C., non ha mai agito innanzi all’autorità Giudiziaria, atteso che i crediti maturati nel 1991-1993 risultano inesigibili e prescritti già dopo 5 anni, in assenza di valide interruzioni dei termini inoltrate all’Amministrazione d’appartenenza. Sul punto, infatti, si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili con la sentenza 28.12.2023 n. 36197, confermando il principio per cui nel P.I., a differenza del privato, la prescrizione decorre in costanza di rapporto e dal momento di loro progressiva insorgenza.
- La sentenza della C.C. produce invece effetti favorevoli in due circostanze ben precise:
- nel caso di giudizi sospesi in ordine a ricorsi promossi nell’attesa di conoscere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della norma (ed è il caso di circa 600 colleghi/ex lavoratori del Ministero della Difesa, per i quali il Consiglio di Stato aveva rinviato al giudizio della Corte Costituzionale);
- nel caso in cui il ricorrente abbia sistematicamente interrotta la prescrizione, avendo proposto la relativa istanza di interruzione dei termini prima della relativa scadenza, e avendola reiterata periodicamente ad ogni quinquennio (dagli elementi di conoscenza in nostro possesso, quasi nessuno).
Se questo è il quadro di situazione, appare allora ben chiaro come alcune iniziative sindacali volte a promuovere la presentazione all’Amministrazione d’appartenenza di istanze individuali di ricostruzione della carriera e/o di riconoscimento del quantum maturato nel periodo 1991-1993 appaiono alquanto irrealistiche e finalizzate solo, seppur legittimamente, ad una azione di proselitismo, che possono creare però false illusioni e attese a fronte del rischio evidente di un loro fallimento, atteso che prevedibilmente quelle istanze non troveranno accoglimento favorevole da parte dell’Amministrazione destinataria, e dell’altrettanto rischio reale, in caso di successivo ricorso in giudizio contro l’Amministrazione, di essere condannati dal Giudice al pagamento delle spese di giudizio: dunque, dopo il danno anche la beffa, si potrebbe dire!
Questa è la nostra opinione, alla luce degli elementi di valutazione che sono oggi in nostro possesso rispetto al quadro normativo esistente e alle considerazioni che ci sono pervenute dallo studio legale di fiducia.
Pur tuttavia, comprendiamo bene la necessità di non lasciare nulla di intentato anche in vista di possibili scenari nuovi che potrebbero delinearsi, anzitutto, in caso di auspicabili e positive iniziative del Governo finalizzate all’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale. Per questo, abbiamo predisposto un fac-simile di istanza che le pensionate e i pensionati interessati potrebbero compilare in ogni sua parte e inviare per PEC o Raccomandata A/R alla Direzione Generale dell’Amministrazione di propria ex appartenenza.
Per completezza di informazione, aggiungiamo che stiamo comunque anche valutando la percorribilità e l’utilità di una eventuale azione di risarcimento del danno patito dai lavoratori in ragione del mancato riconoscimento della RIA in termini di perdita di chance di guadagno.
Ma, al di là dell’efficacia delle iniziative oggi messe di campo, il problema vero sta nell’attuazione della sentenza della Corte Costituzionale: ci sono voluti 30 anni per avere ragione in merito alla applicabilità della RIA anche nel periodo 1991-1993, non ne devono in alcun modo trascorrere altrettanti per la sua applicazione.
Il problema è dunque squisitamente politico anche in considerazione delle ricadute economiche sul bilancio dello Stato e, per questo, molto opportunamente, la nostra Federazione, con nota a firma del proprio Segretario Generale, ha scritto al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Alfredo Mantovano, al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti e al Ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo chiedendo “di conoscere quali iniziative intende assumere il Governo per dare piena ed immediata esecuzione alla sentenza della Corte” , anche “allo scopo di evitare l’instaurarsi di un ulteriore contenzioso”.
Si fa riserva di dare tempestivamente conto degli eventuali, futuri sviluppi della vicenda.